Il Caso: un lavoratore, a causa di un’errata comunicazione da parte dell’istituto previdenziale, era rimasto per diversi mesi senza lavoro e senza pensione. Si rivolgeva quindi alla giustizia, per ottenere il giusto risarcimento per le conseguenze subite a seguito dell’errore. La sentenza però non rendeva giustizia al povero lavoratore.
Il verdetto è stato però ribaltato dalla Cassazione, la quale con la sentenza numero 8604/2016, depositata il 2 maggio 2016, ha sancito che se il lavoratore è indotto alle dimissioni da un comportamento colpevole dell’Inps, suo è il diritto ad ottenere il risarcimento del danno.
Tale risarcimento, più nel dettaglio, va quantificato tenendo conto delle retribuzioni perdute nell’arco temporale intercorrente tra la cessazione del rapporto di lavoro e l’effettivo conseguimento della pensione. Ciò in forza del completamento del periodo di contribuzione necessario grazie al versamento di contributi volontari.
I giudici hanno chiarito che la responsabilità dell’istituto deve considerarsi di tipo contrattuale, derivando da un’obbligazione di origine legale e relativa a un rapporto intercorrente tra due parti. La conseguente applicabilità dell’articolo 1218 del codice civile comporta che la prova che l’inadempimento è derivato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile spetta al debitore.
Pertanto, a fronte dell’erronea indicazione da parte dell’Inps del numero dei contributi versati, il lavoratore non aveva neanche l’onere di provare la colpa o il dolo dell’istituto.
La Corte, inoltre si è anche soffermata a chiarire che il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino rappresenta uno dei fondamenti dello Stato di diritto ed è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico. Di conseguenza, le amministrazioni sono tenute a non frustrare in alcun modo la fiducia di soggetti titolari di interessi indisponibili, perciò a nulla rileva il fatto che l’assicurato non abbia chiesto aggiornamenti sulla sua situazione contributiva.