L’interruzione della coabitazione con parente o coniuge di nazionalità italiana non giustifica di per sé l’espulsione dello straniero

L’interruzione della coabitazione con parente o coniuge di nazionalità italiana non giustifica di per sé l’espulsione dello straniero ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. c), D.Lgs. 286/1998.
Cassazione Penale, prima sezione, sentenza n. 13764 del 25/02/2020

Il caso
Ad un cittadino straniero, sposato con cittadina italiana e padre di una minore avuta con quest’ultima, viene revocata la Carta di soggiorno.
Tratto in arresto, riesce ad ottenere la detenzione domiciliare.
Il luogo ove sconta la suddetta misura alternativa, tuttavia, non è l’abitazione della moglie di nazionalità italiana ma quella della nuova compagna di nazionalità marocchina da cui ha avuto anche una seconda figlia.
Per il Tribunale di Sorveglianza di Ancona, chiamato a pronunciarsi sull’opposizione all’espulsione promossa dal cittadino straniero, il venir meno della coabitazione con parenti di nazionalità italiana, impedisce l’operatività della condizione ostativa di cui all’art. 19, comma 2, lett. c) del T.U. in materia di immigrazione e consente l’espulsione dell’istante-opponente.
Con sentenza n. 13764 del 25/02/2020 la Suprema Corte cassa la pronuncia del Tribunale, accogliendo il ricorso presentato dal cittadino straniero.
Infatti, estendendo il proprio “orizzonte interpretativo” a quanto previsto dalle disposizioni generali sull’espulsione amministrativa – con particolare riferimento ai contenuti dell’art. 13, comma 2 bis del medesimo T.U. – e dando rilievo alla tutela dell’interesse superiore del minore − “espressamente elevato a parametro di valutazione delle ipotesi di divieto di espulsione dall’art. 5, co. 1 lett. a) della Direttiva 2008/115/CE” − arriva a concludere che «… a venire in rilevo come potenziale condizione ostativa alla espulsione non è esclusivamente la accertata “convivenza” con familiari di nazionalità italiana ma anche la necessità di apprezzamento e di contemperamento delle esigenze correlate, in senso più ampio ai “vincoli familiari” dell’interessato (ai sensi del citato art. 13, comma 2 bis), in una ottica di protezione dei diritti alla integrità dello sviluppo psico-fisico del minore residente in Italia e privato – in ipotesi di espulsione – della continuità affettiva e relazionale con il proprio genitore».
In questi termini la Cassazione ribalta l’interpretazione che della norma in commento era stata fornita dal giudice di prime cure.
Al concetto di “convivenza” viene infatti attribuito un significato senz’altro più elastico che in passato.
Un significato che va ben oltre la semplice coabitazione, potendo questa (in ipotesi) pure mancare.

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